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 2011  giugno 28 Martedì calendario

Sì, certo, anche Fellini frequentava il Caffè Strega. Il cinema ci passava tutto. Otto e mezzo mi cascò addosso come un gioco

Sì, certo, anche Fellini frequentava il Caffè Strega. Il cinema ci passava tutto. Otto e mezzo mi cascò addosso come un gioco. Mia moglie Lucia chiese a Federico: "Perché non fai fare una parte a Guido?". E allora ci ricordammo delle mie recite a casa di Alba. Il mio era il personaggio di un produttore, e Fellini, sul set, mi trattava come tale, per cui generici e comparse credevano davvero che, oltre a interpretare una parte, finanziassi il film. E la faccenda si trascinò per parecchi anni. Mi incontravano e mi chiedevano: quando mi chiama di nuovo, commendatore? Cardarelli: "Gli uomini che tengono un poco alla mia compagnia bisogna che si preparino a lasciarsi annullare. Io divoro i fatti" Guido Alberti, il mecenate storico del premio Strega, un attore estemporaneo e sensibile di vari film rimasti nella storia del cinema del dopoguerra. Riporto una confessione, inedita, che Guido mi chiese di registrare nel lontano 1976. C’è la civiltà della sua persona, della sua voce. Credo sia importante ascoltarla, in tempi come questi, inveleniti dalle polemiche. Riporto esattamente: «A casa di Alba De Cespedes si organizzavano serate e recite. Letterati come Goffredo Bellonci, Cecchi, Flaiano inventavano i couplet e altri letterati li interpretavano. A recitare ho cominciato là, da Alba. Feci un Bacco che Cecchi definì bellissimo. A ripensarci, forse lo era davvero. Venivano, ripeto, tutti gli scrittori più autorevoli, e i politici: ricordo, fra i tanti, Berlinguer padre. «Accettavano benevolmente che l’aria diventasse, a volte, un po’ goliardica. Senza che goliardico fosse lo spirito, perché certe "riscritture"erano sempre di firma celebre. Non ti dico chi riscrisse un irresistibile Cuore, facendone la cosa più antideamicisiana che si potesse immaginare. Il Premio Strega venne fuori da questo milieu. Una sera, torno da una festa con Goffredo Bellonci. Era stato Ermanno Contini a portarmi al salotto di Goffredo e di Maria, a viale Liegi, che già si strutturava organicamente, comprendendo "gli amici della domenica". Goffredo mi prende da parte e si lamenta che, per la letteratura, si fanno chiacchiere e piacevolezze, ma poco di concreto. Aveva ragione. «Così si finanzia lo Strega. La prima edizione la vince Flaiano, all’Hotel de la Ville, e la seconda Cardarelli. Su questo nome, fermiamoci. «Oggi nessuno se lo ricorda più, ma per parecchio tempo Roma culturale si è identificata con lui. Diceva: "Gli uomini che tengono un poco alla mia compagnia bisogna che si preparino a lasciarsi annullare. Io divoro i fatti". Ma era il paradosso di un poeta. In realtà, si era mantenuto come il paese dov’era nato, Corneto Tarquinia, rustico e civile, murato ma anche con impensabili dolcezze di vigne, orti e canneti. Noi allora avevamo, a via Veneto, il Caffè Strega, punto d’incontro un po’ di tutti. Ebbene, di fatto, abitava lì, e il suo appartamento, in un caseggiato poco lontano, gli serviva di passaggio. Quando Cardarelli non ce la fece più a camminare, dissi che mettessero a una sedia le rotelle, così il portiere dello stabile poteva tranquillamente portarcelo ogni mattina. Sempre al solito posto. D’estate, a sinistra dell’ingresso, all’aperto; d’inverno, al primo tavolino entrando, dopo il bar. Anche se estate e inverno, almeno per l’abbigliamento dì Cardarelli, non esistevano. Infatti, portava sempre cappotto e sciarpa. «Quando il posto era occupato, lo vedevo che alzava il bastone. Caro vecchio, strafottente e scostante, l’aveva davvero succhiata dal mistero etrusco, la sua anarchia; ma la pagava cara. Gli altri, da Cecchi e Bontempelli, avevano belle case, un ordine di vita, lui era allo sbaraglio, convinto che la poesia fosse un’eccezione anche nel modo di praticare i giorni, le ore. Alle convenzioni culturali non si è arreso mai. Né agli snobismi idioti. Oggi, sì, che ci vorrebbe un Cardarelli... Via Veneto, prima di passare per covo di dolce vita, era viva e utile: anch’essa un salotto pulito. Sì, certo, anche Fellini frequentava il Caffè Strega. Il cinema ci passava tutto. Otto e mezzo mi cascò addosso come un gioco. Mia moglie Lucia chiese a Federico: "Perché non fai fare una parte a Guido?". E allora ci ricordammo delle mie recite a casa di Alba. Il mio era il personaggio di un produttore, e Fellini, sul set, mi trattava come tale, per cui generici e comparse credevano davvero che, oltre a interpretare una parte, finanziassi il film. E la faccenda si trascinò per parecchi anni. Mi incontravano e mi chiedevano: quando mi chiama di nuovo, commendatore? «E io: quando chiamano me. Pensavano a una battuta di spirito. Io penso, invece e seriamente, al futuro del nostro Premio Strega. All’inizio, c’era un’effervescenza simpatica, parliamo pure di genuinità. Ciascuno esponeva le proprie idee, che potevano essere diverse e contrastanti, senza per questo generare i rancorosi bizantinismi che avvelenano un po’ tutto. Allora non esistevano. L’ambiente culturale possedeva una sua limpidezza e una sua unità»