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 2010  marzo 17 Mercoledì calendario

LONDRA: LA CASTA DEI LORD HA LE ORE CONTATE

Addio al velluto rosso e agli ermellini bianchi di centinaia di toghe ordinate. Addio a 700 anni di storia e a decenni di ordinaria, democratica, anomalia britannica. Il Labour ci prova di nuovo ma stavolta fa sul serio. Il premier Gordon Brown ha deciso di giocare la grande sfida elettorale del 6 maggio sulla lotta di classe e quale migliore messaggio da lanciare agli elettori se non quello di voler finalmente abolire la Camera dei Lord? La grande incompiuta dei laburisti potrebbe presto compiersi. La riforma da sempre sventolata dal Labour, cominciata da Tony Blair e mai veramente finita, tra qualche giorno farà il grande ingresso nel manifesto elettorale del partito di governo.

L’aula dei privilegi e dell’aristocrazia, quell’unicum politico che fa di Westminster un Parlamento imponente - oltre 1.300 membri, dei quali 704 Lord - ma anche un controsenso - è il solo al mondo con una Camera non eletta - potrebbe presto sparire dalla scena. Lo ha confermato il ministro della Giustizia Jack Straw, regista della riforma che sarà presentata a giorni. Addio cariche ereditarie (oggi sono 92) e nomine governative e via libera a un Senato di 300 membri (tra cui donne e minoranze con quote garantite), condizionati da un massimo di tre mandati consecutivi, ma soprattutto scelti dagli elettori, probabilmente col sistema proporzionale al quale negli ultimi tempi anche gli inglesi cominciano a strizzare l’occhio. Il compito della Camera rinnovata? Esaminare le leggi prima dell’entrata in vigore. Con la garanzia di un rinnovamento di un terzo dei componenti ad ogni elezioni generale, sul modello del Senato americano, e il subentro di una lista di non-eletti in caso di morte o grave malattia dei nuovi «pari».

Fine di un’epoca, insomma. Più del folklore degli autobus a due piani, più dei cab - i taxi neri -, più ancora della guida a sinistra e di Sua Maestà la regina, la Camera Alta del Parlamento britannico incarna infatti l’unicità e la stravaganza del sistema inglese. Vescovi e baroni siedono nella stessa Aula che qualche settimana fa ha dato l’ok alla celebrazione delle unioni omosessuali in chiesa. Duchi, visconti e marchesi - che per il loro lavoro non ricevono stipendio ma un rimborso spese - seppur con poteri limitati, influenzano le sorti della politica inglese dall’alto dei loro titoli e del loro background. Un esempio di élitismo che per tutto il ventesimo secolo il partito laburista ha tentato di combattere. E che ora, sull’onda dello scandalo delle note spese gonfiate e dello sdegno degli elettori per i costi della politica, Brown e i suoi hanno deciso di cavalcare mettendo gli avversari con le spalle al muro. Sì, perché la mossa sembra studiata per stanare alla vigilia del voto l’élite conservatrice, mettere il leader dei Tory David Cameron, che pure in passato si è detto favorevole alla riforma, di fronte a un pezzo del partito che non intende perdere i suoi privilegi.

Non solo: l’obbligo per gli aspiranti senatori di avere la residenza nel Regno Unito e pagare le tasse al fisco inglese toglierebbe di torno o costringerebbe a venire allo scoperto donatori come Lord Ashcroft, il miliardario vicepresidente dei Tory finito di recente nella bufera dopo la scoperta che, nonostante il suo patrimonio, fosse un «non-dom», cioè non avesse la residenza fiscale nel Regno Unito.
Il primo passo fu di Tony Blair, che nel ”99, dopo l’elezione, decise di eliminare i pari ereditari, con esclusione di 92 ai quali venne concesso di rimanere fino al termine del processo di riforma. Le altre nomine sarebbero state appannaggio del governo. Poi una serie di votazioni da diversi anni a questa parte ha portato alla bocciatura dei successivi tentativi di riforma. Ora il Labour a caccia della rielezione cerca di stanare i Tory: il disegno di legge sarà votato dopo le elezione ma costringerà i Conservatori a esprimersi. E Gordon Brown spera che la lotta di classe sconfigga il nemico. Ma resta un problema: i nuovi senatori sarebbero pagati, anche se meno dei deputati della Camera bassa. E i sudditi di Sua Maestà potrebbero non gradire un Parlamento con altri 300 stipendiati.