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 2008  ottobre 27 Lunedì calendario

Anno V - Duecentoquarantatreesima settimanaDal 20 al 27 ottobre 2008Borse Le Borse hanno ricominciato a precipitare e la spiegazione è evidentemente una sola: gli operatori di tutto il mondo non credono sufficienti le misure prese dai governi e si aspettano ancora qualche crac colossale

Anno V - Duecentoquarantatreesima settimana
Dal 20 al 27 ottobre 2008

Borse Le Borse hanno ricominciato a precipitare e la spiegazione è evidentemente una sola: gli operatori di tutto il mondo non credono sufficienti le misure prese dai governi e si aspettano ancora qualche crac colossale. In genere le Borse scontano in anticipo gli eventi: paradossalmente potremmo cominciare a vedere la risalita proprio nel momento in cui certe aziende gigantesche o certi paesi superindebitati saranno finiti finanziariamente in macerie. Il Nobel Roubini sostiene che «potrebbe essere necessario chiudere i mercati per qualche settimana». A Wall Street venerdì scorso, vedendo crollare le quotazioni dei futures, ci hanno pensato seriamente. Gli asiatici si sono intanto dotati di un fondo da 80 miliardi per affrontare le emergenze, misura che da noi ha caldeggiato Berlusconi trovando ben disposto Sarkozy e contraria la Merkel. Gli esperti sostengono tuttavia che 80 miliardi sono pochi a fronte delle tempeste in arrivo. Ci sono anche nove Paesi a rischio default, e tra questi la stessa Russia, colpita oltre tutto dal crollo del prezzo del petrolio (sotto i 60 dollari lunedì scorso). I titoli alla Borsa di Mosca sono talmente andati giù che lì la chiusura per uno o più giorni è già stata sperimentata parecchie volte. Per sostenere le banche Putin ha impegnato il 15% del Pil (è come se da noi si fossero messi sul tavolo 200 miliardi di euro), per sostenere il rublo ha dovuto bruciare 15 miliardi di riserve. Gli altri paesi molto seriamente nei guai sono Argentina, Bielorussia, Corea del Sud, Islanda, Kazakhstan, Pakistan, Ucraina e Ungheria. L’Islanda ha ottenuto due miliardi in prestito dal Fondo Monetario Internazionale che ha però, a questo punto, la fila di questuanti fuori dalla porta.

Rottamazione In Italia, la svalutazione dei titoli continua a colpire Unicredit - ormai ampiamente sotto l’euro - e morde parecchio anche Intesa, da quando s’è diffusa la voce (non confermata) che il dividendo non sarà pagato o sarà pagato in azioni privilegiate (il che equivale a un aumento di capitale mascherato: è la strada in parte già imboccata da Unicredit). L’altra questione è se si debba affrontare la crisi con una terza rottamazione, puntata sulle auto e magari sui frigoriferi. Il governo è spaccato: a favore della rottamazione sta il ministro Scajola, contro il ministro Sacconi. Berlusconi ha escluso ogni provvedimento di rottamazione, ma l’abitudine di smentire quanto ha detto davanti a decine di televisioni il giorno prima ha tolto a questa presa di posizione parecchia credibilità. Gli oppositori della rottamazione si fanno forti di tre argomenti: è una procedura che aiuta in definitiva una sola azienda (la Fiat), è una procedura una tantum e che non incide quindi profondamente sulla nostra struttura economica, è una procedura che invoglia le famiglie a indebitarsi in un momento in cui l’indebitamento appare più come una malattia che come una cura. Da questo punto di vista, l’Italia ha una situazione buona, dato che la percentuale di famiglie fortemente indebitate supera di poco il 40%, contro percentuali del 100 per cento in America o in altri Paesi.

Un nuovo Sessantotto Intanto gli studenti, gli insegnanti e in qualche caso anche i genitori sfilano, occupano le scuole, tengono lezioni in piazza un po’ ovunque. Una protesta di massa davvero impressionante, in corso mentre scriviamo, ma che ha bisogno di una spiegazione multipla.

Tagli Tutti si scagliano contro la Gelmini (sono sorti numerosi comitati No Gelmini o simili), ma in realtà le leggi in questione sono due: la 133, approvata quest’estate e preparata dal ministro Tremonti (la cosiddetta prefinanziaria) e la 137, emanata sotto forma di decreto in settembre e che il Senato sta convertendo definitivamente. I tagli al personale insegnante sono previsti dalla 133, che è già una legge dello Stato e prevede, nella scuola secondaria inferiore, una diminuzione degli organici del 17%, cioè la cancellazione in tre anni di 87 mila cattedre e circa 45 mila posti di personale non docente. Per raggiungere questo obiettivo lo Stato non rimpiazzerà chi andrà in pensione, dice la 133. Vengono poi tagliati in proporzione anche i finanziamenti all’Università, nell’ambita di una generale riorganizzazione di tutta l’Amministrazione pubblica, le cui spese vengono decurtate in orni reparto. Una parte dei professori universitari e dei rettori si oppongono con forza a queste misure, che hanno di sicuro il difetto assai grave di essere indiscriminate. Però il sistema universitario nel suo complesso non ha le carte in regola e pare incapace di autocriticarsi e di autoregolarsi: i nostri laureati occupano, quanto a preparazione, gli ultimi posti di ogni graduatoria, le 94 università italiane con le relative 320 sedi distaccate appaiono troppo spesso come semplici occasioni di sottogoverno voluti da piccoli ras locali di quella o di questa parte politica e insomma iniziare con un disboscamento, sia pure frettoloso, non pare così insensato.

Professori Il decreto Gelmini, invece, si dedica alla scuola elementare e media e ha la sua parte di tagli nell’articolo 4, dove si prevede il ripristino, nelle scuole elementari, del maestro unico. Il decreto prevede di risparmiare in questo modo 7 miliardi da redistribuire poi per migliorare il livello delle scuole e degli stipendi. Ma, negli altri articoli, la legge Gelmini introduce solo alcuni, deboli segnali riformisti: si torna ai voti numerici da 1 a 10, la condotta farà media e col 5 si ripeterà l’anno, vi saranno ore dedicate allo studio della Costituzione (art. 1) e un nuovo criterio nell’adozione dei libri di testo, che dovranno essere utilizzati più a lungo in modo da far risparmiare le famiglie. Come mai gli studenti si oppongono a queste norme, alla fine poco più che una semplice riorganizzazione? Ci può essere, nel particolare, il fastidio di dover rispondere degli atti compiuti all’interno dell’istituto scolastico. E forse la solidarietà verso i professori così mal trattati (peraltro anche da loro). Più in generale, l’inquietudine di fronte a una società apparentemente molto informata all’interno della quale non è più chiaro che cosa sia la scuola e quali sbocchi garantisca. Ma questi sarebbero temi da affrontare, appunto, in una riforma. Il decreto Gelmini a queste cose non ci ha neanche pensato.

Berlusconi All’inizio della rivolta studentesca Berlusconi ha convocato il ministro dell’Interno Maroni e gli ha intimato di far intervenire le forze dell’ordine per impedice occupazioni e prepotenze. Di fronte alla levata di scudi generale (compresa quella del suo ministro) ha negato di aver detto ciò che decine di televisioni avevano documentato.

Veltroni Veltroni ha portato in piazza, sabato scorso, trecentomila persone e forse addirittura duecentomila secondo i dati della questura, sgolandosi a dire però che erano due milioni e mezzo (quasi tutti gli abitanti della capitale). Su questo, polemiche a non finire, Berlusconi che lo accusa di essere un bugiardo, il Pd che reclama rispetto eccetera. Il punto è che il luogo del comizio, cioè la vasta area del Circo Massimo a Roma, ha una superficie di 72 mila metri quadri e ipotizzando quattro persone a metro quadro si arriva a mala pena a 300 mila. In ogni caso: il segretario del Pd ha gridato dal palco che l’Italia è migliore del suo governo, ha richiamato tutti i valori antifascisti possibili, ha accusato Berlusconi e i suoi di razzismo, ha poi proposto di detassare le tredicesime e chiesto il ritiro del decreto Gelmini. La mobilitazione non sembra aver prodotto risultati apprezzabili o cambiamenti degni di nota né sulle decisioni dell’esecutivo né sugli equilibri incerti del centro-sinistra.

Cento milioni Uno sconosciuto di Catania ha indovinato la sequenza del Superenalotto (7 20 21 74 75 81) e s’è portato a casa cento milioni di euro, massima vincita di tutti i tempi in Italia, e sesta nel mondo. Nessuno vinceva da più di sei mesi e questo aveva aumentato a dismisura il montepremi e le entrate dello Stato, che su ogni puntata trattiene quasi il 50%. Naturalmente il grosso bottino aveva fatto impennare le puntate. Catania è sull’orlo della bancarotta - prevista per Natale -, ma la fortuna l’assiste in altri modi: la lotteria e anche la squadra di calcio, soprendentemente tra le prime grazie al suo allenatore Zenga.