Il Giornale 13/09/2007, pag.17 Paolo Giordano Il Giornale 13/09/2007, pagg.1-17 Michele Brambilla, 13 settembre 2007
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Pavarotti, un testamento con troppi veleni. Il Giornale 13 settembre 2007. Modena - Il notaio dice: sono solo illazioni. Però, nel più trito e ritrito rituale scandalistico, non si è fatto in tempo a chiudere la bara di Luciano Pavarotti che è iniziata la ridda di ipotesi sul destino della sua enorme eredità (circa 200 milioni di euro) e sui rapporti controversi tra le sue donne, Nicoletta e Adua. Di ieri l’ultima rivelazione: un’amica di famiglia, la ginecologa bolognese Lidia La Marca, ha riferito alla Stampa un colloquio riservatissimo avuto con il tenore il 16 agosto, pochi giorni prima della morte. Pavarotti le avrebbe confidato che «sto malissimo, in questi ultimi anni Nicoletta mi sta tormentando, mi fa vivere da solo, sono isolato, i miei amici non mi vengono a trovare, parla male delle mie figlie, mi circonda di persone che non mi piacciono». E, per di più, la moglie «pensa sempre ai soldi, arriva con documenti da farmi firmare. Minaccia di non farmi rivedere Alice (l’ultima figlia - ndr)». Insomma, un atto privato, intimo e doloroso come la distribuzione dei beni di una persona che se ne è andata, sta diventando una colossale messinscena pubblica che probabilmente, conoscendo il suo senso della famiglia e l’attaccamento profondo alle figlie, avrebbe disgustato lo stesso Pavarotti. Lo conferma anche il notaio Luciano Buonanno di Pesaro, che il 29 luglio andò a trovare il Maestro nella sua villa per redigere l’ultimo testamento, quello che ufficialmente fa seguito all’atto compilato a New York prima dell’operazione chirurgica dello scorso anno. «C’è troppo accanimento - ha detto - su questa storia e sulla figura di un grande artista: già prima che morisse ho ricevuto pressioni da un imprenditore intenzionato ad acquistare a tutti i costi la villa di Pesaro». Un esempio veloce che rende l’idea di quale sia l’impietoso brulicare d’interessi intorno ai beni del Maestro.
Quando il notaio lo incontrò, quella domenica di fine luglio, Pavarotti era «dimagrito di almeno trenta chili, ma ancora imponente e con tutti i capelli». Soprattutto, era «lucidissimo». «Non so - ha continuato - se ci siano stati cambiamenti rispetto ad altri eventuali testamenti precedenti, di cui non conosco né l’esistenza né il contenuto. E comunque potrebbero esserci anche 15 testamenti validi e non incompatibili tra loro». L’avviso dell’esistenza di quest’ultimo testamento è stato notificato agli interessati due giorni fa ma, secondo il notaio, non ci sarà particolare fretta nell’apertura: «Il lutto è ancora troppo recente e c’è troppa pressione. E comunque si tratta di persone che hanno i mezzi per andare avanti».
Secondo altre voci, Pavarotti, che negli ultimi tempi si sarebbe riavvicinato alla ex moglie Adua, avrebbe lasciato la metà del suo patrimonio alle quattro figlie Giuliana, Cristina, Lorenza e Alice, dividendo il resto tra Nicoletta (25 per cento, più i diritti su incisioni e sfruttamento immagine) e i collaboratori (l’altro 25 per cento). Secondo l’orrida (e ipotetica) contabilità testamentaria, la villa di Santa Maria di Mugnano dove il tenore è morto andrebbe alle figlie e non a Nicoletta, che manterrebbe il ristorante Europa 92 di Modena, il parco dove si teneva il Pavarotti and Friends e l’appartamento con vista su Central park a New York. E di sicuro le rivelazioni dell’amica di famiglia sui presunti documenti fatti firmare dalla moglie al maestro morente sono destinati a ravvivare di più ancora la sarabanda della successione.
Insomma, proprio come quando scoppiò il caso sulla sua evasione fiscale, dietro a Pavarotti si agita il conflitto irrisolvibile tra le due famiglie - Adua da una parte e Nicoletta dall’altra - che hanno accompagnato la vita del tenore dei tenori.
Certo, girando per Modena e parlando con la gente che sta ancora piangendo il loro Maestro, la gran parte delle voci è contraria a Nicoletta Mantovani, drasticamente bocciata dai pavarottiani della prima ora e gelidamente valutata da quasi tutti gli altri, che non hanno perso occasione, negli ultimi anni, di commentare sfavorevolmente tutte le sue iniziative. Dividere è il destino dei grandi, e Pavarotti non ha fatto eccezione, confinando però divergenze e contrasti quasi esclusivamente sul fronte privato. E su questo versante piomberanno ancora chissà quante altre supposizioni. Ora, tra la ridda di voci sulla sua eredità, dovrebbe alzarsene un’altra forte almeno come la sua per zittire tutto e lasciare le cose al loro destino.
Paolo Giordano
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Lutto finito, ora Pavarotti è un gossip. Il Giornale 13 settembre 2007. Se dal cielo - dove speriamo ch’egli si trovi - Luciano Pavarotti potesse assistere alla congèrie di pettegolezzi, indiscrezioni, litigi, pissi-pissi-bao-bao, dispettucci e maldicenze che si stanno accumulando sul conto suo e dei suoi familiari, si accorgerebbe di quanto è ipocrita l’Italia che ha appena finito di piangerlo a reti unificate. E probabilmente avrebbe nostalgia di coloro che, lui vivo, furono i soli ad avere il coraggio, se non di contestarlo, quantomeno di non venerarlo: i loggionisti del Regio di Parma, massima autorità - altro che i critici - in materia di lirica.
Raccontano che quando Pavarotti esordì nel Parmense, con un piccolo concerto in quel di Felino, i loggionisti del Regio andarono in trasferta a seguirlo, e furono piuttosto tiepidi. Quando poi, nel 1976, l’ormai grande tenore si esibì al Regio, dal loggione partì un applauso, ma anche una sentenza piuttosto severa: L’è bräv mo l’ne miga Corèli, dove per Corèli s’intendeva Franco Corelli, mito indiscusso dei melomani. E siccome le sentenze del loggione del Regio sono come quelle della Cassazione, Pavarotti non ha mai cantato, in quel teatro, chissà perché, un’opera intera.
Spietati, i loggionisti. Spietati ma molto più leali di quanti, una settimana dopo aver celebrato Pavarotti come «il più grande italiano nel mondo», mettono in scena un reality retroattivo sulla sua vita, inzuppando il pane su corna e amanti, soldi e testamenti, vizi privati e umane debolezze.
da qualche giorno, infatti, che filtrano voci sui suoi presunti dissapori con la seconda moglie, Nicoletta, e indiscrezioni sull’eredità: l’ha cambiata in punto di morte? A chi andrà la villa di Santa Maria di Mugnano, è vero che non finirà a Nicoletta ma alle figlie avute dalla prima moglie Adua? E la piscina, a chi andrà la piscina? E il ristorante Europa 92? E il parco dove c’era il circolo ippico? E l’appartamento di Central Park a New York? Fatti loro, verrebbe da dire; e invece vengono fatti passare come fatti nostri, forse perché leggendo ci illudiamo di avere pure noi problemi d’abbondanza di quel genere.
Ma il colmo del cattivo gusto lo ha raggiunto ieri una «amica» del tenore la quale - forse ignara del detto che insegna a non mettere il dito tra moglie e marito - ha rilasciato una lunga intervista alla Stampa, poi replicata in serata al Tg5, per mettere in piazza ciò che Pavarotti e la seconda moglie Nicoletta avevano deciso (ammesso che le «rivelazioni» siano fondate) di tenere ben all’interno delle mura di casa.
Racconta la signora che il 16 agosto scorso il moribondo Pavarotti, in ospedale, le fece delle confidenze: «Sto malissimo. In questi ultimi anni Nicoletta mi sta tormentando, mi fa vivere da solo, sono isolato, i miei amici non mi vengono a trovare, parla male delle mie figlie, mi circonda di persone che non mi piacciono...». Sempre sulla moglie, Pavarotti avrebbe raccontato: «Pensa solo ai soldi, arriva con documenti da farmi firmare. Minaccia di non farmi vedere Alice, mi fa delle scenate». Infine, il grande tenore avrebbe rivelato all’amica che il suo dilemma era ormai diventato l’utilizzo o meno della lettera ”e”: «O mi sparo, o mi separo».
Non per spirito corporativo, ma non credo sia giusto prendersela con il giornalista che ha raccolto l’intervista, e che ha fatto egregiamente il proprio lavoro: le notizie sono notizie, il commento è libero. E, perlomeno da parte nostra, il commento è una domanda: il bombardamento del gossip demenziale ci ha rincoglioniti fino a questo punto, fino a indurci a spifferare non solo le beghe coniugali dei vivi, ma anche quelle dei morti? Fino a rendere di dominio pubblico lo sfogo raccolto su un lettino d’ospedale da un ammalato terminale di cancro? Saremo retorici, saremo patetici, saremo vecchi, ma pensiamo che a furia di sbirciare dalle serrature dobbiamo aver perso il senso della misura e anche quello della vergogna. tragicamente significativo che anche una stimata professionista come la signora intervistata dalla Stampa (è una nota ginecologa di Bologna) non si renda conto di cadere nel ridicolo quando, dopo aver dato in pasto al popolo del gossip tanta altrui intimità, spiega di non essere andata ai funerali di Pavarotti «perché non mi sarei ritrovata in quel festival mediatico».
Povero Pavarotti. Quali che siano i suoi errori, quali che siano le sue colpe nella gestione di una controversa famiglia allargata, non meritava di morire in un Paese che non sa tenere il lutto neppure per una settimana.
Michele Brambilla