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 2007  settembre 13 Giovedì calendario

Piano, l’interprete delle differenze. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. A 70 anni Renzo Piano sembra ancora un rappresentante della "meglio gioventù" di quell’eterna provincia che sa innamorarsi del mondo sino al punto da rivoluzionarlo

Piano, l’interprete delle differenze. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. A 70 anni Renzo Piano sembra ancora un rappresentante della "meglio gioventù" di quell’eterna provincia che sa innamorarsi del mondo sino al punto da rivoluzionarlo. Ancora adesso pare sinceramente stupito dall’interesse per il suo lavoro, e quando in maggio si è presentato davanti a tremila studenti del Politecnico di Milano, riuniti nel grande spiazzo del campus della Bovisa, si è commosso più che davanti a Bill Clinton quando gli ha consegnato nel 1998 il Pritzker Price – considerato il Nobel dell’architettura – alla Casa Bianca. Proprio per questo ha deciso di festeggiare il suo compleanno nel capoluogo lombardo: la Triennale – che gli ha dedicato la mostra «Le città visibili», che solo nei due primi mesi ha avuto più di 30mila visitatori – domenica prossima aprirà a musici e saltimbanchi il prato del suo giardino per un insolito déjeuner sur l’herbe. Se Genova è stata per Piano la città dei sogni da ragazzo, Milano l’ha aiutato a scrivere le prime pagine importanti di un lungo romanzo di formazione: prima di Parigi o di New York, Milano gli ha aperto una finestra sui turbamenti della realtà, sull’ansia del sociale, sulla concretezza del fare, canalizzando le inquietudini sperimentali dell’apprendista-architetto in un metodo che da allora l’accompagna sempre come la scatola degli attrezzi di un esperto artigiano. Un’affinità ricambiata: nel 1968, la XIV Triennale ospita la sua prima mostra – «Mutazioni della forma in architettura» – che analizza le prospettive aperte dai nuovi materiali, come i gusci sottili e le tensostrutture. Il metodo è semplice, ma nell’Italia degli anni 70 irriguardoso: si tratta insomma di fare l’architettura non partendo da una forma ideale, ma dalla verità dei materiali, dalla loro resistenza, dalla loro capacità di creare nuove soluzioni, dalla forza comunicativa di un’idea semplice che diventa realtà abitabile. la lezione dei maestri, in fin dei conti, sia di quelli storici che avevano predicato il rispetto dei materiali contro i cultori dello stile, sia quelli più vicini, come Franco Albini o Marco Zanuso. Ma gli anni 70 sono ansiosi di teoria e alla pratica del fare si antepone la pratica infinita del dibattito: per chi non è portatore di un messaggio non c’è posto e l’Accademia serra i ranghi chiudendosi a riccio nel suo bunker. Più vicino alla cultura dell’empirismo britannico, il giovane architetto si sposta a Londra, fino a quando l’inaspettata vittoria al concorso internazionale del Centre Pompidou sposta il baricentro della sua vita a Parigi, dove apre nel quartiere del Marais il suo secondo studio, dopo il pensatoio genovese di Punta Nave. Jean Baudrillard scriverà un saggio assai critico sull’"effetto Beaubourg", ma a distanza di un quarto di secolo le sue previsioni sembrano sfatate non tanto dal successo del "meccano" per fare l’arte, quando dal suo imprint umanistico a fronte degli sviluppi sensazionalistici dell’architettura globale. Oggi Beaubourg è una delle principali tappe del turismo parigino, la Tour Eiffel o la Montmartre del XXI secolo: Roberto Rossellini ne fu attratto al punto da sceglierlo come soggetto del suo ultimo film che la Triennale proietterà domani – proprio in occasione del 70° compleanno di Piano – come duplice omaggio al regista e all’architetto. A vederlo oggi con l’animazione del pubblico, Beaubourg sembra una specie di Fontana di Trevi francese. Ma la storia parla di un cantiere terribile, un banco di prova infernale per due trentenni alla prese con la scommessa della loro vita: eppure nonostante le diffidenze, alcune proteste e molti malumori locali, Parigi non esitò a riconoscere al "rifugiato ideologico" il suo status di libero dissidente e gli aprì generosamente preziose occasioni di sperimentazione: le ristrutturazione dell’ex fabbrica Schlumberger – la prima riconversione post-industriale che anticipa l’intervento torinese del Lingotto o la sede milanese del Sole-24 Ore, – l’Ircam, l’istituto per la sperimentazione dei suoni che inaugura la serie delle "architetture musicali" fino all’Auditorium di Roma ”, le case di rue de Meux, con i rivestimenti in leggeri pannelli di mattoni adottati anche nella prova d’orchestra di Potsdamer Platz a Berlino. Beaubourg ha cambiato la nostra maniera di concepire il museo, ma anche quella di pensare all’architettura, facendoci apparire anche il celebrato Guggenheim di Bilbao più come una felice stravaganza che una geniale innovazione. Con la differenza che, mentre Frank Gehry sta disseminando il mondo con le repliche del suo cigno metallico, Piano si è sempre rifiutato di ripetere il gesto. Così quando Dominique De Menil gli chiese negli anni 80 un piccolo Beaubourg per la sua collezione di astrattisti europei a Houston, la risposta fu un villaggio-museo con al centro un semplice "fienile" per le opere d’arte. Il segreto stava nella luce, la chiave nella lettura dell’arte come oggetto in sé. Fu una seconda rivoluzione che consolidò l’immagine di Piano come interprete sottile dell’arte come elemento di ammirazione e riflessione, non di stupore. Nasce da qui la sua conquista dell’America, che in 20 anni ha stabilito la sua fama di progettista di musei e di opere pubbliche senza eguali nella storia dei rapporti tra Europa e America. Da Atlanta a New York, da San Francisco a Los Angeles, a Chicago e a Boston, l’architetto italiano è diventato paradossalmente the voice of America: la voce di un’America gentile, ottimistica, fiduciosa nei valori della libertà e dell’integrazione. Il grattacielo del «Times» che a novembre inaugurerà la nuova sede è la risposta all’aggressività del post-11 settembre: ricerca del dialogo – con la città, tra le persone che vi lavoreranno ”, sottigliezza nell’inserirsi nell’affollato skyline, delicatezza nei materiali di rivestimento testimoniano lo sforzo di ricondurre questo prodotto dell’America liberista dentro una visione negoziata dei rapporti tra pubblico e Capitale. Sfidando gli stereotipi sulla cultura virtuale, la città per Piano resta ancora il luogo dell’integrazione fisica, dello scambio personale. Contro la città infinita, la città non finita, come a Harlem (per la Columbia University) e a Sesto San Giovanni (ex-area Falk): «Uno degli errori ricorrenti nel progettare luoghi urbani – dice – è quello di disegnarli e riempirli troppo, mentre la città ha bisogno anche di momenti di silenzio, di pause di discontinuità, di vuoti che facciano scattare la scintilla della differenza». Forse sta in questa disponibilità all’ascolto il segreto del suo successo che ha riempito d’orgoglio i visitatori italiani della mostra in Triennale, come ha scritto Fernando sul libro rosso dei commenti all’uscita: «Troppo bella per essere vera. Bisogna portare qui tutti i bimbi di Milano». Fulvio Irace I PROGETTI 1973 B&B Noverate (Milano). Il Beaubourg bonsai: in una fabbrica di mobili fuori Milano la sperimentazione in miniatura del futuro museo parigino. 1977 Beaubourg, Parigi (con Richard Rogers). Cambia la maniera di concepire i musei: con il giocoso meccano di Parigi decolla la fama internazionale di Piano. 1983 Lingotto, Torino. La ristrutturazione dell’edificio della Fiat è il primo esempio italiano di riconversione industriale: dalla fabbrica alla città, sino al 2003, una serie di interventi per trasformare l’edificio in incubatore culturale. 1987 The Menil Collection Houston, Texas. Ovvero l’invenzione della luce. L’anti-Beaubourg: l’unico effetto speciale è la manipolazione della luce per esaltare la lettura delle opere. Comincia l’avventura americana. 1994 Kansai International Airport, Osaka. Nel progetto giapponese i non-luoghi diventano iper-luoghi e l’aeroporto entra nella storia della grande architettura. 1998 Centro culturale Jean-Marie Tjibaou, Nouméa (Nuova Caledonia). Il più poetico progetto di Piano. Un Beaubourg sostenibile nel paradiso tropicale. 2000 Potsdamer Platz, Berlino. Ovvero la ricostruzione della città europea: dal deserto del dopo-muro un nuovo cuore per la capitale ritrovata. 2002 Auditorium di Roma. La prima grande opera dell’Italia nel terzo millennio: un parco della musica fa rivivere una discarica urbana. 2007 New York Times, New York. Dopo il tabù dell’11 settembre, un europeo insegna all’America come costruire torri non arroganti. California Academy of Science San Francisco, California. Come nel Paul Klee Zentrum di Basilea, una struttura verde ingloba gli spazi del museo diventando parte del paesaggio del Golden Lane. Columbia University Campus Plan New York. Una sfida per la cultura americana: può un’università diventare parte della città e non isolarsi nell’arcadia? Ex area Falk Sesto san Giovanni, Milano Contro l’idea della città infinita, la scommessa della città continua della tradizione europea.