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 2007  settembre 13 Giovedì calendario

L’esodo iracheno spaventa la Siria. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. DAMASCO. La marea umana tardò ad arrivare

L’esodo iracheno spaventa la Siria. Il Sole 24 Ore 13 settembre 2007. DAMASCO. La marea umana tardò ad arrivare. In principio furono solo piccoli gruppi. Si fecero vedere poco dopo la presa di Baghdad, quando la folla festante abbattè la statua del dittatore Saddam Hussein. Chi colse il segnale, comprese che l’unica via d’uscita per non cadere in mano agli americani o alla rappresaglia sciita era la fuga. A bordo di potenti fuoristrada attraversarono il confine. Quegli uomini eleganti e dai modi distinti non avevano le sembianze di profughi. Dottori, avvocati, ex politici, businessmen. Quasi tutti sunniti, quasi tutti ex funzionari del partito al Governo, il Baath, e dell’entourage del dittatore. Fu una fuga silenziosa. Come discreto fu il flusso di denaro che portarono con sé o che trasferirono su conti bancari nei Paesi arabi vicini. «Ci aspettavamo centinaia di migliaia di persone - commenta Laurence Jolles, rappresentante per la Siria dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) - ma non fu così. Il risultato fu che le Ong e le agenzie Onu furono disorientate e poi prese alla sprovvista». Via via che l’Iraq sprofondava verso la guerra civile, quel drappello di fuggitivi si trasformò in una marea umana fino ad assumere, nel 2006, le dimensioni di un esodo di massa. I convogli di disperati si allungarono. Premettero sui Paesi vicini. Ma l’accoglienza non fu calorosa. Turchia e Kuwait chiusero le frontiere. I sauditi ne confinarono poche migliaia nel deserto. Dopo aver aperto i cancelli la Giordania comprese che non poteva più accollarsi un simile fardello. Nel 2005 preferì richiedere il visto selezionando chi dimostrava di avere un patrimonio adeguato o altri requisiti. Unico tra i Paesi arabi confinanti, la Siria aprì le porte agli iracheni. Chiunque, ricco o povero, sciita, sunnita o cristiano, era un "invitato", poteva quindi trovare rifugio senza bisogno di visto. In poco più di tre anni la popolazione siriana si è così gonfiata del 10-12 per cento. «Difficile sapere quanti siano - continua Jolles - noi stimiamo 1,5 milioni, altri parlano anche di due milioni. Coloro che si sono registrati come rifugiati sono solo 150mila. il più grande esodo nel Medio Oriente dal 1948. Ogni giorno circa 2mila iracheni attraversano il confine». Non più. Da lunedì anche l’ultima porta per fuggire dall’inferno è stata chiusa. Damasco ha dato il via a una serie di restrizioni. I nuovi arrivati avranno bisogno di un visto rilasciato dall’ambasciata siriana di Baghdad. Sembra riservato solo a personale accademico o uomini d’affari. Ma intanto la capitale siriana ha già cambiato volto. Gli iracheni, ormai, li vedi dappertutto. La maggior parte ha preferito concentrarsi alle porte della città. Come a Jaramana, 30 minuti d’auto dal centro. Tanto affollata di iracheni da meritarsi l’appellativo di piccola Baghdad siriana. I nuovi arrivati hanno aperto ristoranti, internet caffè, preso in affitto interi edifici quando non potevano acquistarli. «Gli stranieri cominciano ad abituarsi a noi», ironizza Mohammed, 30 anni, iracheno, arrivato da otto mesi. Con orgoglio mostra i nuovi nomi delle strade: Falluja Street, Baghdad Street, Iraqi Street. Non sono i campi profughi palestinesi del Libano, ma gli stretti vicoli di Jaramana: l’immondizia rovesciata nelle strade, le schiere di venditori ambulanti suggeriscono che qui la vita non è facile. «La Siria - precisa Jolles - è stato l’unico Stato ad aver aperto i confini senza chiedere il visto. Gli iracheni devono solo uscire dal Paese ogni tre mesi per rinnovare il permesso ma possono subito ritornarci. In teoria non sono autorizzati a svolgere alcun lavoro. In pratica molti si arrangiano. Per aprire un’attività privata occorre un permesso speciale, pochi lo ottengono. Questo è il dilemma: dare lavoro a oltre un milione di persone potrebbe aumentare la disoccupazione dei siriani. Non farlo significa rendere più povero e vulnerabile un esercito di profughi». Non è stato facile per Damasco farsi carico di una tale emergenza. «Le infrastrutture non erano pronte - precisa Violette Daguerre, presidente della Commissione araba dei diritti umani - e intorno ai profughi la criminalità ha creato un business di viaggi organizzati per far attraversare loro la frontiera e rinnovare il permesso. Garantiscono una permanenza in Iraq anche di pochi minuti o un dispendioso tour in Libano». «Gli iracheni - continua Jolles - possono frequentare le scuole pubbliche. Ma le classi di diversi istituti nell’area sono gremite, 60 studenti anziché 20 nonostante il doppio turno. Stesso discorso per la sanità, in principio aperta. La precedenza, però, è data ai siriani, gli iracheni accedono solo per le emergenze. Per le persone registrate abbiamo costruito cliniche, stipulato accordi con la Croce rossa coprendo l’80% dei costi. Nel campo dell’educazione lavoriamo con l’Unicef e con il Governo per accrescere il numero degli studenti. Quelli iracheni dovrebbero essere 250mila, di fatto sono 33mila». La guerra è stata un inferno per tutti. «Ma sono i cristiani, circa 60mila, i profughi con la situazione più tragica» commenta Antoine Audo, il vescovo caldeo di Aleppo. «Hanno perso tutto. Il 60% di loro sopravvive con il denaro inviato dai parenti all’estero». Suor Antoinette, 64 anni, è una delle poche sorelle della Caritas che a Jaramana assiste oltre 15mila cristiani. «Minacciati di morte - spiega - non hanno avuto il tempo di portarsi dietro nulla. La situazione è precipitata dopo il discorso tenuto a Ratisbona da Papa Ratzinger nel settembre 2006. L’odio degli estremisti islamici si accanì contro la minoranza cristiana (meno del 5% degli iracheni, Ndr)». Le parole di Antoinette trovano conferma nella storia di Meskenta Aiub e di sua figlia Cristina. Meskenta è più loquace, si lamenta del costo della vita. Gli occhi azzurri di Cristina sono persi nel vuoto. «Ero sposata da un mese - racconta - hanno ucciso mio marito. Assassinati perché cristiani. Poi ci dissero di andare via altrimenti avremmo fatto la stessa fine. Siamo scappati. Io non potevo uscire di casa, ero minacciata perché indossavo i pantaloni e non portavo l’hijab». Thabet al Aany, sunnita, 43 anni e tre figli, è tutt’altro che povero. Il suo ristorante è uno dei più frequentati di Jaramana. Solo specialità irachene, 40 dipendenti, iracheni, 120 coperti. Arrivò qui dopo la caduta di Saddam. Possedeva tre imprese. «A Baghdad vivevamo da re» ammette. Quando fu costretto a pagare un riscatto per la liberazione di un nipote e rischiò di vedere i suoi tre figli sequestrati, vendette tutto. «Non c’era più sicurezza. Il ristorante mi è costato 200mila dollari, lo gestisco con un siriano». Chissà perché, Thabet gode di un permesso per lavorare e rinnova il permesso di soggiorno una volta sola all’anno. Recandosi in Giordania, dove ha del denaro in banca. I siriani? Nelle vie di Damasco cresce lo scontento. In molti pensano che gli iracheni siano come i primi arrivati, ricchi, pronti a pagare ogni cosa più del dovuto pur di aggiudicarsela. Da tre anni la Siria non è più il baluardo mediorientale del socialismo dove il cibo era assicurato, l’affitto pure, le merci di base garantite. Tutto è più caro. E la risposta è sempre la stessa. I prezzi delle case sono triplicati? Colpa degli iracheni. Alcune verdure sono rincarate di cinque volte? Colpa degli iracheni. La criminalità sta assumendo dimensioni prima sconosciute e la prostituzione è diventata ora un florido business? Sempre loro. «Gli iracheni hanno portato alla luce i problemi di cui la Siria stava già soffrendo - ammette Razan Zaitouneh, del Damascus centre for Human Rights studies - ma è vero che il prezzo degli immobili si è impennato. Con gli iracheni è arrivata anche tanta ricchezza. Ne ha beneficiato solo il Governo e un’elite ristretta». Di ricchi a Saida Zeinab non c’è traccia. Intorno alla grande moschea, terzo luogo sacro degli sciiti di tutto il mondo, nel mercato o davanti alle case abbandonate, brulica un fiume di mercanti, ragazzini operai, nullafacenti. Siamo nella roccaforte dei profughi iracheni sciiti, eppure in mezzo a loro convivono tranquillamente anche diversi sunniti e qualche cristiano. Oltre a ristoranti iracheni, internet caffè, qui proliferano le agenzie specializzate in viaggi a Baghdad, o al confine. Sono almeno 70, ci spiega il manager della principale agenzia. Nell’arteria principale, Iraqi Street, vi è pure una palestra per iracheni. Il manager è Hassan Hadi. Campione nazionale di body building e sollevamento pesi era una celebrità in Iraq. «A Baghdad - racconta - vivevo nel quartiere Forth police. Sono stato minacciato dalle milizie islamiche. Siamo fuggiti in un quartiere sunnita più sicuro. Ma non fu sufficiente. Allora ci siamo inventati cognomi sciiti. Non è valso a nulla. Gli arresti arbitrari della polizia e gli assassini erano all’ordine del giorno. Non ci restava che la fuga». Come Hassan, anche Munir ha ripreso la stessa attività che aveva in Iraq. Il suo internet caffè non è quello di Baghdad, ma ha 12 postazioni. Al suo fianco c’è un uomo con il volto segnato, che piange e poi ride, e poi ride e piange ancora. Si chiama Majid ha 37 anni e fa il venditore ambulante di tè. Vive in strada, dorme in strada. Majid non ha più niente, un kamikaze gli è esploso a pochi metri. Miracolosamente illeso quando si riprese non vide che corpi straziati e distruzione. Ognuno ha alle spalle tragedie. «Sono necessari più aiuti - conclude Jolles - altrimenti saremo travolti da un disastro umanitario. La gente arriverà con sempre meno risorse. Faremo pressioni sul Governo siriano affinché continui ad accogliere gli iracheni». Ma la marea umana fa paura a tutti. Anche al baluardo del socialismo mediorientale. Roberto Bongiorni L’ESILIO Il dramma dei cristiani 1,5 milioni I rifugiati iracheni che, secondo l’Onu, hanno trovato riparo in Siria. Altre fonti parlano di 2 milioni. Tra 500mila e 700mila si trovano in Giordania. il più grande esodo in Medio Oriente dal 1948 10-12% L’incremento demografico in Siria causato dall’arrivo dei profughi. La gran parte si è insediata nelle periferie di Damasco 250mila Gli studenti iracheni che secondo l’Onu dovrebbero frequentare le scuole. Di fatto sono solo 33mila 200% L’impennata del prezzo degli immobili in alcune aree di Damasco provocato dalla richiesta di alloggi da parte degli iracheni Non era sposata da un mese che Cristina si è ritrovata vedova. Suo marito è stato assassinato a Mosul, nel nord dell’Iraq, dai fondamentalisti perché cristiano. Cristina e la famiglia sono state minacciate di morte e fuggite a Jaramana, periferia di Damasco. Dal 2006 quasi 50mila cristiani iracheni sono fuggiti in Siria.