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 2007  settembre 13 Giovedì calendario

La parabola del contribuente onesto. Corriere della Sera 13 settembre 2007. Facciamo l’ipotesi che il valore del Pil, in un certo anno, sia 100 e che non ci sia né crescita, né inflazione: questo significa che l’anno successivo, non essendo aumentate né le cose prodotte né i loro prezzi, il valore del Pil sarà ancora 100

La parabola del contribuente onesto. Corriere della Sera 13 settembre 2007. Facciamo l’ipotesi che il valore del Pil, in un certo anno, sia 100 e che non ci sia né crescita, né inflazione: questo significa che l’anno successivo, non essendo aumentate né le cose prodotte né i loro prezzi, il valore del Pil sarà ancora 100. Aggiungiamo l’ipotesi che l’aliquota legale media d’imposta sia il 50%, ma l’effettivo gettito sia 40: questo vuol dire che c’è un’evasione fiscale pari a 10. Tutti questi dati possono essere facilmente espressi in termini percentuali: diremo allora che la pressione fiscale, il rapporto tra il gettito effettivo e il Pil, è del 40% e il tasso di evasione (10/50) è del 20%. L’esempio è così semplice che non faccio alcuna differenza tra pressione tributaria (solo imposte) e pressione fiscale complessiva (imposte più contributi): metto dunque i contributi insieme alle imposte, ciò che non si dovrebbe fare ma ai nostri propositi non fa differenza. Nel nostro esempio vale inoltre la regola che non ci dev’essere disavanzo, e dunque la spesa dev’essere uguale al gettito: tutti e due 40. Arriva l’autunno della legge Finanziaria e il governo desidera finanziare nell’anno successivo nuove spese che giudica prioritarie per un valore di 5. Se vuol tener fede alla regola appena ricordata, e non vuole aumentare l’aliquota, deve allora tagliare dello stesso ammontare le spese che sta facendo, in modo che il totale complessivo sia sempre 40. Tra i suoi ministri il governo ne ha però uno che è abilissimo nello stanare l’evasione: egli è convinto che l’anno successivo l’evasione fiscale non sarà di 10, ma di 5, con una riduzione permanente del tasso di evasione dal 20 al 10% (5/50). Se quella convinzione è fondata, pur senza cambiare l’aliquota, il gettito salirà a 45 e quindi le nuove spese potranno essere finanziate senza sacrificare le vecchie. Vero, ma così facendo aumenterà anche il rapporto tra spese e Pil e tra entrate e Pil – la pressione fiscale – dal 40 al 45%. Tra le forze politiche che sostengono il governo alcune sono però preoccupate: è vero che per i contribuenti onesti la situazione non cambierebbe (continuerebbero a pagare il 50%), ma dove andrebbe a finire la promessa «pagare meno, pagare tutti» iscritta nel programma elettorale? Non si potrebbe ridurre l’aliquota dal 50 al 45% – in realtà, la riduzione potrebbe essere un po’ maggiore, ma tralascio il calcolo preciso – in modo che il gettito effettivo e la pressione fiscale siano uguali a prima, e però i contribuenti onesti si accorgano di pagare di meno? Affinché ciò avvenga, naturalmente, le nuove spese programmate devono essere finanziate attraverso una riduzione delle vecchie: insomma, spese e entrate devono essere sempre 40. L’unico merito di quest’esempio è di essere immediatamente comprensibile, perché un’analisi più realistica sarebbe molto più complicata: l’aliquota «media » che abbiamo ipotizzato è una semplificazione che sfida il buon senso; da un anno all’altro il reddito e l’inflazione si muovono in modo non esattamente prevedibile e, poiché la pressione fiscale è un rapporto di cui il reddito monetario è il denominatore, anch’essa non è facile da prevedere. Né è facile stabilire se il nostro ministro abbia ragione e l’evasione fiscale sia calata in modo permanente: dunque è imprevedibile anche il numeratore. E altre complicazioni dovrebbero essere aggiunte. Ma il succo della faccenda non verrebbe alterato dal maggior realismo (e dalla maggiore difficoltà) del ragionamento: tenere sotto controllo le spese, finanziare per quanto è possibile le nuove attraverso una riduzione delle vecchie, è una condizione necessaria affinché i contribuenti onesti avvertano qualche vantaggio dalla lotta all’evasione. Condizione necessaria, non sufficiente. Si potrebbe anche decidere di destinare i proventi della lotta all’evasione non alla riduzione delle aliquote ma alla riduzione del disavanzo – nel nostro esempio non c’è, ma nella realtà esiste – che pure sarebbe un fine meritorio e sul quale l’Unione Europea insiste di continuo. E un atteggiamento cauto – non restituire subito l’extragettito verificatosi in questi mesi – potrebbe essere giustificato dalla imprevedibilità di molte delle variabili in gioco. Forse sono proprio questi i motivi per cui il ministro dell’Economia insiste molto sulla compensazione tra nuove e vecchie spese, ma nulla dice della riduzione delle imposte. MICHELE SALVATI