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 2005  marzo 04 Venerdì calendario

Quel giorno del ’99 in cui Fazio dettò la linea, Corriere della Sera, venerdì 4 marzo 2005  cambiato tutto, a cominciare dai nomi

Quel giorno del ’99 in cui Fazio dettò la linea, Corriere della Sera, venerdì 4 marzo 2005  cambiato tutto, a cominciare dai nomi. Il blasonato marchio della Comit è custodito in qualche cassetto del gigante del credito Banca Intesa, la Banca di Roma è diventata Capitalia e da possibile preda un po’ in difficoltà si è trasformata in giocatore a tutto campo sullo scacchiere del credito all’italiana. Ma che cosa è rimasto davvero di quel weekend del ’99 nel quale l’Italia si svegliò all’improvviso con due Opa che coinvolgevano mezzo listino bancario? Proviamo a girare la pellicola di quello che accadde. Scena. Piazza Cordusio, ventuno marzo di sei anni fa. La domenica che poteva cambiare il volto del sistema finanziario made in Italy. una visita dell’allora presidente dell’UniCredito Italiano Lucio Rondelli al Governatore Antonio Fazio ad aprire la partita: vogliamo lanciare un’offerta pubblica sulla Banca Commerciale Italiana. Come dire, l’antica sorella minore del vanto della finanza italiana gioca all’attacco. Con una conseguenza dal sapore rivoluzionario: insieme le due banche avrebbero spostato definitivamente l’asse di quella che era (ed è) considerata una delle casseforti italiane: Mediobanca che allora, e oggi, resta il primo azionista delle Assicurazioni Generali. C’è anche il nome in codice per le nozze, Eurobanca. Riletto oggi, suona vagamente anticipatorio. Allora, forse troppo. Stesso copione a Torino, dove il San Paolo di Luigi Arcuti nelle stesse ore si fa avanti con la Banca di Roma. Con una telefonata al Governatore. E, si narra, incassa un primo stop, che segnerà tutt’e due le partite: «Se fate l’Opa ostile vi dico di ”no”, non passerà mai. Cambiate strada», è la gelida risposta di Via Nazionale alla prima versione del piano di Torino. Niente guerra per banche è la linea, perché in cima alle preoccupazioni di Bankitalia c’è, allora come oggi, la stabilità del sistema creditizio nazionale. Niente avventure. Così anche le parole hanno un peso, UniCredito parlerà di Offerta pubblica «non concordata» con la Comit. Sofismi linguistici o esigenze diplomatiche che siano, il muro da scavalcare è alto. Così quando tutti i protagonisti, dall’allora presidente Comit Luigi Lucchini all’amministratore delegato Pier Francesco Saviotti (ora in Intesa), al presidente della Banca di Roma (ora di Capitalia), Cesare Geronzi, si sono riuniti nel consiglio di Mediobanca, la situazione dev’essere stata vagamente surreale. Prede e predatori, seduti intorno allo stesso tavolo. Che in quelle ore rischia di spezzarsi per sempre. Il motivo? La fusione tra le due ex creature di Mediobanca rischia di capovolgere un equilibrio antico, quello che vedeva le due banche azioniste di Piazzetta Cuccia (allora Via Filodrammatici) ancelle dell’istituto. Un clima da ancien régime che aveva resistito per cinquant’anni e che quella mossa del duo Rondelli-Profumo metteva in discussione: per la prima volta Mediobanca avrebbe avuto un azionista forte. Ma giriamo la pellicola del film rapidamente. E arriviamo a oggi. Sull’assetto di Mediobanca si continuano a confrontare sempre due banche, l’UniCredito di Carlo Salvatori e Alessandro Profumo e la Capitalia di Cesare Geronzi e Matteo Arpe. Dal marzo del ’99 sono passati sei anni. La Comit? Nel frattempo è uscita di scena, entrata nell’orbita dell’Intesa di Giovanni Bazoli, vendette la quota in Mediobanca. In Borsa c’è chi ricorda che quelle due Opa del ’99 fecero persino sognare Piazza Affari per qualche giorno. Perché quelle due fusioni avevano i numeri per stare in Europa. Che in quelle stesse settimane vedeva i colossi francesi Bnp Paribas e Société Générale alla prese con una fusione che oggi vale 4,6 miliardi di profitti l’anno. Da noi? San Paolo Banca di Roma arrivavano a 550 mila miliardi di vecchie lire, poco meno UniCredito Comit, con 470 mila. Due operazioni con un po’ di pepe finanziario e troppe incognite, però. Il silenzio delle banche sotto Opa dura alcuni giorni, rotto dai due «no» dei consigli di amministrazione degli istituti sotto tiro: «Offerte ostili e inaccettabili». E tutto si ferma, perché il Governatore l’ha detto e ripetuto: se le offerte sono ostili non se ne fa nulla. Così il weekend che doveva cambiare il volto della finanza italiana si trasforma nella sanzione definitiva ai blitz di mercato. Le azioni delle banche, custodi del risparmio nazionale e tessuto nervoso dei finanziamenti alle imprese, nonché grandi azionisti dei principali gruppi industriali, non si rastrellano, si offrono. E così sarà per le nozze celebrate solo pochi mesi dopo, tra Intesa e Comit, che daranno vita al primo gruppo creditizio italiano, e San Paolo Cardine. Il Governatore, allora come oggi, tiene il punto. Niente avventure di mercato, ma progetti industriali condivisi. Così sullo scacchiere bancario la parola Opa o, nella versione più soft, Ops (offerta pubblica di scambio) non compare più. Vale la pena sfogliarlo il cauto vocabolario delle finanza: «fusione tra uguali», «integrazione paritetica», «acquisizione consensuale», «salvataggio», «creazione di valore per tutti gli azionisti». Così una sola cosa appare certa: il prossimo giro di risiko bancario sul quale il mercato comincia già a fantasticare, nonostante lo stop alle maxi fusioni appena dato da Fazio, (UniCredit-San Paolo? UniCredit-Intesa? Intesa-Capitalia?) si giocherà solo sul tavolo degli accordi, non della sfida ma dei consensi che management e azionisti sapranno costruire. E l’Opa ostile? rimasta nei cassetti. Per sempre? Nicola Saldutti