Bernardo Valli, La Repubblica del 17/01/1979., 17 gennaio 1979
Lo Scià di Persia fugge da Teheran
Lo scià di Persia, malato di cancro, fugge da Teheran. «Alle 13.08 del 17 gennaio 1979 l’aereo imperiale è decollato puntando sull’Egitto. Alle 16, nella capitale in festa, non c’erano più statue dello Scià sui piedistalli. Quando la radio ha dato la notizia della partenza, 30 minuti dopo il decollo, gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson. Centinaia di migliaia di persone si salutano con l’indice e il medio tesi, in segno di vittoria, si abbracciano, invocano il ritorno di Khomeini. Lo Scià ha cercato di rispettare il protocollo: prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran, il suo ”palazzo d’inverno ”, ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza, i cortigiani e persino i cuochi. I pochi giornalisti iraniani ammessi all’aeroporto hanno descritto Reza Pahlavi e Farah Diba pallidi, tesi, vestiti con abiti sobri. Rispettando la tradizione sono passati sotto il Corano, tenuto da un cortigiano, per augurare buon viaggio. Prima di entrare nell’aereo il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro e l’avrebbe baciato, trattenendo a stento le lacrime. ”Quanto tempo resterà all’estero?” gli ha chiesto il radiocronista. ”Sono molto stanco. Resterò all’estero fino a quando non mi sarò rimesso ”. Sulla Piazza Pahlavi, mentre la radio trasmette ancora la voce dello Scià, un centinaio di giovani prendono una sua statua, la trascinano con un cavo di ferro per le strade della città, gridando: ”Impicchiamo lo Scià ”. Mezz’ora dopo la statua penzola da un cavalcavia».